Come si fa a dire che l’autunno è una stagione triste, io proprio non so. Basta guardare i cachi quando sono maturi, come quello nella foto. Accato un mucchietto di giuggiole, che a Milano sono rare come i sorrisi degli sconosciuti nel metro, e cari come se fosserro gioielli. Piccole, qualcuna appassita e dolce, altre più aspre, queste bacche – che altro sono, infatti? – in Romagna sono più diffuse; qui meno. Ne ho comprato un cartoccio l’altro ieri da un fruttivendolo del centro, molto figo e molto caro, rimanendo piacevolmente stupita alla vista perché le avevo addocchiate un’altra sola volta, anni fa, quando ancora guidavo e ricordo la frenata (sic!) al semaforo al cui lato stava il baracchino della frutta e verdura. Ero a Milano da meno anni, non le avevo mai viste, la nostalgia è stata forte. Del resto, almeno per me, la nostalgia è un sentimento che tra la fine di settembre e quella di novembre, cioè in autunno, si fa più forte. Sarà che dopo la scuola, nel pomeriggio, si prendeva la bici con la mamma e si andava nel Borgo San Rocco, anticamera del centro, a prendere i libri per la scuola o i quaderni o le scarpe nuove.
Dov’è finito il profumo di cioccolata calda di quei pomeriggi? La bruma che avvolgeva il giardino verso le 18? L’odore dello spezzatino o del brodo, che la nonna -al piano di sotto- faceva andare sui fornelli? Intorno, la cucina sempre linda, le cose tutte in ordine, l’attesa della cena… Si capisce Pascoli. Infatti, io il Pascoli, anche dopo alle scuole più alte, davanti ad analisi del testo ben più sofisticate, non ho mai fatto fatica a capirlo… Ogni terra ha dei riti, la Romagna ha i suoi. Linguaggi dei gesti e dei profumi, stretti e legati alle stagioni, ai sentimenti, al cuore e, sempre, alla gola.
La cremina di cachi è buona e facile. E può accompagnare una torta di mele un pò rustica, come la mia Gloriosità (vedi su questo blog), o un dolce alla castagne, o ancora una mousse di castagne (che impareremo presto). E si fa così.
Prendiamo qualche caco maturo e bello, togliamo la pellicina che, seppur fragile e trasparente protegge quel succoso, dolce e strabordante dono del Signore che è il caco. Mettiamo la polpa nel mixer, aggiungiamo poco, davvero poco zucchero a velo, diciamo un cucchiaio, poi 4 cucchiai di rum o cognac, a seconda dei gusti, frulliamo poco. Ecco pronta da servire questa cremina, piuttosto liquida, da conservare in frugorifero, in un contenitore di vetro, con pellicola, e servire fredda, ma non troppo, accanto alla fetta di torta di cui sopra.
Quanto al brodo di giuggiole, ovviamente, non lo so fare; anzi, credo non esista proprio, ma che bella metafora! Si dice quando uno è strafelice, evidentemente dev’essere una buona pozione!