La sera cala, tutto intorno, un po’ annebbiata. Nell’aria qualche timida lucina sparsa mi dice che Natale non è poi così lontano. Nel silenzio della mia cucina, mentre tagliuzzo e impasto, penso che se questo delirio mediatico del cibo forse sta cominciando a stancare, la vera cultura del cibo è appena all’inizio.
Lo sospettavo da tempo e la partecipazione recente a un tranquillo e periferico convegno sull’olio me lo ha confermato. Come un regalo inaspettato, in quella dolcissima e verde cornice umbra,
nel torpore generale di un diffuso blaterare, a un certo punto un relatore colto e illuminato ha affermato che la forza degli antichi Romani è stata quella di capire, coltivando e incentivando, le colture di grano, uva e olive, tre frutti della terra che “sanno annullare la propria individualità a favore di una miscela che in ognuno dei tre casi diventa altro da sé, ovvero farina, vino, olio”.
Ha detto proprio così l’illustre antropologo, illuminando il pigro e colto pomeriggio di novembre con questa incontestabile affermazione. Sono davvero tre grandi soggetti il chicco, l’acino e l’olivella, ho pensato. E hanno proprio tanto da insegnarci!
Mi è piaciuta questa considerazione un po’ storica, un po’ agreste, molto “sociale” e così poco social. L’idea che i tre alimenti cardine della nostra amata e sempre attuale dieta mediterranea abbiano saputo rinunciare al proprio io per cedere a una generosa fusione, mi ha commosso.
È una chiave di lettura degli alimenti colta e geniale quella che ho avuto il piacere di ascoltare. E che mi ha indotta a guardare con altri occhi sia i tre alimenti originari sia le corrispettive derivazioni. Penso sia una grande lezione quella degli acini pestati, del grano macinato e delle olive spremute; una lezione a cui accostarsi umilmente in questa epoca di spasmodici confini dell’io e del sé, tirati a volte col righello di uno sfrenato e sterile individualismo.
E cosi mi è venuta voglia di dedicare a farina, olio e vino un dolce, che guarda caso è antico, invernale, rustico. Che assomiglia alle cartellate pugliesi e lucane, ma si fa anche in Romagna quando è stagione di mosto. Che sa di casa e di legna del camino… e un po’ anche di Natale, che di nuovo si avvicina.
Dolcetti rustici all’olio d’oliva e vin cotto
Cosa ti serve
300 g di farina 00
1 uovo
30 g di olio extravergine d’oliva
1 limone non trattato
1 pizzico di sale
1 bicchierino di grappa o vino bianco (se necessario)
300 g di vin cotto
3 cucchiai di miele
olio di semi per friggere q.b.
Come devi fare
Prendi la farina e versala nella spianatoia con l’uovo, l’olio d’oliva, la buccia di limone grattugiata e un pizzico di sale.
Ingloba la farina ai liquidi, piano piano, aiutandoti con una forchetta e infine con le mani, fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo: se vedi che viene troppo duro, aggiungi un bicchierino di vino bianco o grappa.
Ora stendi la pasta con il matterello o l’apposita macchinetta fino a ottenere una sfoglia di medio spessore. Diluisci il miele con il suco del limone, riscaldandolo appena e distribuiscilo sulla sfoglia la sfoglia distesa e poi arrotolala come per fare le tagliatelle. Dopodiché taglia il rotolo a strisce regolari di un centimetro.
Otterrai dei rotolini schiacciati che lascerai riposare alcune ore, disposti su un ripiano e coperti con uno strofinaccio di tela, pulito. Friggi i dolcetti nell’olio di semi bollente, facendoli dorare da tutte le parti.
Quando sono fritti, toglili con un mestolo forato e mettili ad asciugare su carta assorbente per fritti. In un pentolino versa il vin cotto e scaldalo leggermente, dopodiché immergici brevemente i dolcetti pochi per volta, quindi adagiali su un piatto da portata e servi.
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